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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cultura

Magner Bein | Il borlengo. Quattro leggende, quattro città, un prodotto di successo

Un prodotto che racchiude in sè quattro leggende, di quattro borghi modenesi che da secoli cercano prove per dimostrare la sua paternità

Molti dei nostri prodotti gastronomici sono legati a leggende, storie che si perdono nel tempo, ma che sono per lo più univoche,  basti pensare a quella nota del tortellino di Castelfranco o quella meno famosa della zuppa inglese alla corte Estense. Eppure, il Borlengo, è uno dei pochi prodotti enogastronomici italiani che è legato a tre leggende, una discorde dall'altra, in quanto ognuna relativa ad una certa città, per dimostrarne la paternità. 

ZOCCA

Oggi il museo del Borlengo ha sede a Zocca insieme alla compagnia della cunza, cioè l'associazione per la cultura e la conservazione di questa antica tradizione. E oltre a questa presenza vi sarebbe anche quella di una leggenda legata a Zocca, la quale narra infatti di un bottegaio che nei giorni di mercato vendeva pane e focacce, allungando però l'impasto con acqua a seconda del numero di avventori.

VIGNOLA

Scendendo lungo il Panaro, a Vignola, la leggenda vuole che tale alimento sia stato preparato in circostanze simili, ossia durante l'assedio del castello governato da Iacopino Rangoni, avvenuto nel 1386 ad opera dell'esercito del conte Giovanni da Barbiano, alleato di Isacco e Gentile Grassoni.

MONTEOMBRARO

Altra leggenda è invece quella di Montobraro che racconta di un signorotto locale che avrebbe servito una pietanza di sottile sfoglia a conoscenti ed amici, promettendo a loro un pasto abbondante, e questi rimasero così contenti dell'alimento che si autoinvitarono altre volte.

GUIGLIA

E' vero che il museo del Borlengo ha sede a Zocca, tuttavia i primi documenti risalenti al 1266 sono stati ritrovati a Guiglia. A creare ancora più mistero è la circostanza ambigua in cui vennero rinvenuti, infatti era appena finito l'assedio delle truppe guelfe modenesi contro gli Algani, i quali avevano resistito per giorni e giorni. A fare chiarezza furono le truppe degli assedianti che scoprirono come Ugolino da Guiglia e la famiglia Grasolfi fossero sopravvissuti così a lungo grazie ad ostie di farina ed acqua impastata, cotte ed insaporite da erbe. Alla fine avevano ceduto al nemico perché con il protrarsi della guerra la farina iniziò a scarseggiare e dovettero fare ostie sempre più piccole. 

Quale sarà quella vera? Un mistero che non trova ancora oggi una risposta.

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