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Made in Carpi, l'epopea di un settore in cerca di un futuro

In un volume destinato a far discutere imprenditori e addetti del tessile abbigliamento, Werther Cigarini delinea l'evoluzione di un ramo produttivo chiamato ad un sostanziale rinnovamento generazionale

Tra le novità editoriali che in questo periodo hanno stuzzicato sin dalla loro recente uscita l'interesse da parte dei lettori, una fra tutte si pone al centro del dibattito non solo culturale. Parliamo di "Made in Carpi", volume edito da Artestampa e ampiamente dedicato all'epopea di un settore, quello del tessile abbigliamento, e di una città che di tale produzione ne è stata, e in parte ne è ancora, uno dei leader più importanti a livello nazionale. A firmare l'opera è Werther Cigarini, già sindaco del Comune dal 1977 al 1986, giunto alla sua seconda esperienza di scrittore dopo quella di "CARPIGRAD, dal buon governo ai Kalinka Boys", storia politico-amministrativa locale dal dopoguerra ai giorni nostri. Tema non del tutto estraneo anche nella nuova pubblicazione capace di proporre un piacevole intreccio di analisi economiche e ricorsi anedottici, ponendo sempre però in risalto la vita di chi della cosiddetta maglia è stato ed è protagonista. Di questo ed altro abbiamo discusso con l'autore più che mai determinato a suscitare ampie riflessioni tra gli operatori del comparto industriale.

Made in Carpi, Cigarini, inizia il proprio racconto con quella che è stata la prima risorsa economica territoriale e cioè la lavorazione del truciolo.

Cosa, di sicuro, non casuale se si considera che la maglieria è nata e cresciuta qui facendo della sua tradizione secolare un modello manifatturiero di cui Giuseppe Menotti nell'ottocento e successivamente Alfredo Bertesi sono stati grandi fautori.

Ciò nonostante durante il ventennio il "truciolo" s'immise sulla strada di un'irreversibile decadenza.

Sì, a causa infatti della politica protezionistica del regime e dell'alleanza con la Germania nazista, che chiusero le porte di accesso a molti mercati affossando in poco tempo un'attività fiorente che impegnava migliaia di lavoratori e lavoratrici sia nelle fabbriche che a domicilio. Un duro colpo per la città, non compensato dall'insediamento della Magneti Marelli e della Manifattura Tabacchi.

A ridar fiato alle speranze è comunque nel secondo dopoguerra la maglieria. Chi furono i suoi maggiori pionieri?

Se debbo indicare coloro che dapprincipio hanno acceso la scintilla, direi Maria Nora che ebbe l'intuizione di produrre i capi in proprio e Renato Crotti, svelto a capire come il tessile sarebbe potuto diventare un profittevole ramo industriale a patto che fosse alimentato dall'azienda da lui creata per realizzare filati: la Silan.

Negli anni '60 prese piede il lavoro a domicilio. Quanto influì la sua forma organizzativa sullo sviluppo del comparto?

Certamente non poco, visto che è stata la vera chiave del successo dei magliai carpigiani in virtù di un paio di fattori determinanti quali il non pagamento dei contributi e la remunerazione a cottimo con tanto di macchine a carico delle lavoranti. Vantaggi, questi, non indifferenti, che consentirono agli industriali di garantire un prezzo del 30-40% inferiore a quello medio, riuscendo in tal modo a conquistare fette sempre più consistenti del mercato nazionale ed europeo sino a che l'ottica basata sullo sfruttamento non cedette il passo ad una notevole trasformazione.

Di cui le donne furono l'autentico asse portante.

Un'asse portante che impiegava in produzione circa 15000 addette e molte altre nelle vesti di imprenditrici, stiliste, creatrici di moda e sindacaliste, sempre pronte a battersi per acquisire giusti diritti e migliori condizioni professionali. Ed è grazie al loro lavoro, alla loro abilità che la maglieria carpigiana registrò un sorprendente avanzamento.

Risultato che da quanto ricordiamo portò a partorire nel corso degli anni '80 ambiziosi progetti, tra i quali l'idea del distretto tessile. Su cosa si basavano i suoi presupposti?

Principalmente sulla collaborazione delle tante imprese, ciascuna concentrata in un preciso segmento d'offerta. Imprese madri che commercializzavano il prodotto finito, contoterzisti specializzati in una o due lavorazioni, tintorie, tessiture poi aziende per accessori: etichette, cartellini, serigrafie, litografie. Un unico sistema, cioè, che se avesse funzionato davvero avrebbe potuto godere di un vantaggio competitivo enorme. In parecchi scelsero invece il decentramento, la delocalizzazione all'estero, la ricerca del prezzo più basso a scapito della qualità. Fu l'inizio del declino.

Cosa resta oggi del settore? Qual è la sua configurazione attuale?

Dare una risposta non è facile. Di ciò che è stato in passato, è rimasto circa un terzo di imprese ovverosia 700 delle 2500 preesistenti. Si sono persi più di 8 mila posti di lavoro e ben il 75% del fatturato è realizzato da tre o quattro aziende che producono prioritariamente fuori dal distretto, dall'Italia. Qui lasciano solo briciole. Le competenze accumulate in tanti lustri si stanno disperdendo. Prospettive? Non lo so. Molti dicono che è una storia finita, che bisogna prenderne atto. Io non sono del tutto pessimista.

La città è adesso profondamente diversa da quando lei era sindaco. Crede che sarà destinata a cambiare ancora nel solco tracciato dal settore tessile?

E' augurabile, anche se i cambiamenti, spesso portatori di progresso, hanno causato qui soltanto amarezze. Carpi era una delle aree più ricche d'Europa, con la più alta occupazione femminile. Oggi è un paesone senza identità, senza un'idea di futuro. Rispetto al nostro comparto industriale ho indicato già da tempo la via della moda green per salvare qualcosa. Tornare ad esempio alla tradizione della canapa ( ortiche, raffia..) per produrre fibre naturali ma anche per generare imprenditorialità in nuovi settori: farmaceutica, bioedilizia, cosmetica. Ma bisognerebbe cambiare molto della vecchia mentalità carpigiana basata sul far soldi con poco rischio. E, assieme a ciò, sarebbero necessari amministratori dotati di maggior intraprendenza e di visione. Elementi, ora, purtroppo mancanti.

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