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Francesco Baraldi

Giornalista Modena

Ferrari di Michael Mann, le debolezze di un uomo prima del mito | La recensione

La pellicola del regista americano arriverà nei cinema il 30 novembre. Un film spigoloso, in cui ritrovare la Modena di tanti anni fa e la storia del Cavallino, fra nostalgia e contraddizioni

L'attesissimo film di Michael Mann sulla vita di Enzo Ferrari non è un'opera facile. La pellicola - presentata in anteprima alla Mostra di Venezia e ieri a Modena per un pubblico ristretto di addetti ai lavori - uscirà nelle sale il 30 novembre e ha già sollevato reazioni controverse da parte della critica. Si tratta senza dubbio di un'opera spigolosa, dura, che si prende molti rischi. Se vogliamo, in questo ricalca la vita del personaggio che vuole raccontare: il Drake non ha avuto una vita limpida e lineare, non è mai stato un uomo facile. Tutt'altro. Qui forse sta il primo e grande pregio del film: presentare in modo disincantato un uomo la cui esistenza è stata in realtà ben distante dalla visione che se ne ha il giro per il mondo, quel semplicistico esempio di genialità imprenditoriale che ha costruito un mito attraverso il quale Ferrari è banalmente conosciuto.

'Ferrari' parla quindi di uomini e di donne, non certo di auto o di sogni. Parla dell'ambiguità di Enzo, delle sue relazioni. Di mariti, amanti, mogli e figli. Non parla di miti e di imprese, almeno non in modo diretto. 'Ferrari' non vuole raccontare un'epopea, ma vuole sondare l'animo di chi è passato attraverso quel mito e lo ha fatto tra fragilità e lati oscuri. Le auto ci sono, splendenti e rombanti, ma sono quasi un intermezzo. Sono il rumore assordante che da un lato cancella le preoccupazioni di una vita relazionale lacerante, dall'altro ne fa sorgere di nuove. Almeno fino a quando l'abilità del cineasta statunitense esplode nella elettrizzante messa in scena della gara automobilistica, che ruba la scena e tiene con il fiato sospeso.

L'opera racconta le vicende accadute in pochi mesi di vita di Enzo, circa tre, concentrati in quel difficile 1957 che ha significato una svolta per l'uomo e per il Cavallino. L'orizzonte è quindi limitato, stretto come le inquadrature scelte dal regista, che spezza il tono cupo e per certi versi claustrofobico soltanto in alcune scene di corsa, fra i paesaggi incantevoli attraversati dalla mille Miglia. Questo perchè il film non vuole celebrare - come ci si potrebbe attendere dal soggetto scelto - ma si dedica con tutto il tempo necessario all'introspezione.

'Ferrari', tuttavia, è un film che non dà risposte. Apre tante domande, ma non le risolve. Volutamente. Alle conclusioni semplicistiche comuni a molti biopic, Mann preferisce i silenzi di un ottimo Adam Driver, che interpreta il Drake in maniera validissima, focalizzandosi sull'ermetismo della persona e del personaggio. Il melodramma attraversa tutta la pellicola, nel dramma interiore di Laura Garello (Penelope Cruz) e nello spaesamento di Lina Lardi (Shailene Woodley), oltre che nel destino del giovanissimo Piero Ferrari.

Proprio sulla figura di Piero e sul suo destino conteso verte una parte importante del fil, che il diretto interessato - il quale ha sviluppato una relazione con il regista e lo sceneggiatore che si protrae da molti anni - ha definito con un aggettivo azzeccato: "garbato". Trattandosi di raccontare vicende famigliari che hanno toccato profondamente la vita di Piero, alla pellicola va sicuramente riconosciuto un grande tatto. Un tatto che tuttavia non fa sconti e non vuole indorare la pillola. Una pillola che deve essere ingoiata, nel contesto - sicuramente reso egregiamente nelle atmosfere, nelle location e nei costumi - di quella Modena provinciale del dopoguerra dove un figlio nato fuori dal matrimonio era un problema abnorme agli occhi dell'opinione pubblica.

Modena. Già, Modena. E' ovviamente tanta l'attesa dei modenesi per assaporare una pellicola girata in larga parte in città, magari recuperando gli attimi di quei set "sbirciati" in centro storico la scorsa estate. Solo per questo il film varrebbe il prezzo del biglietto. Occorre però sottolineare come uno spettatore modenese potrebbe partire in qualche modo svantaggiato, con il rischio di vedere interrotta quella sospensione del'incredulità che certo realtà intatta per il pubblico "foresto". Modena infatti è dappertutto, anche dove non dovrebbe essere. Chiaramente però le esigenze di produzione vanno comprese e accettate, al pari di quello strano effetto creato - almeno nella visione in lingua originale - da una straniante mescolanza di inglese e italiano nei dialoghi e nel sottofondo.

La pellicola di Mann merita senza dubbio di essere vista (e rivista una seconda volta), con la consapevolezza che non si tratta di un'opera esente da difetti da un punto di vista cinematografico. Ma allo stesso tempo occorre coglierne il valore della sua peculiarità, del non essere un ritratto banale, ma del provare a d osservare da un'angolazione diversa quello che è stato il mito del Cavallino Rampante. Anche, perchè no, per farsi accompagnare in una riflessione su quelle domande che non trovano risposta nel film e neppure nella vita vera. 

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