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Martedì, 30 Aprile 2024
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Opera, pubblico tiepido per l'Aida del Regio di parma

In replica al Tratro Comunale Luciano Pavarotti, lo spettacolo non ha entusiasmato più di tanto il pubblico modenese, fra impressioni "avatariane" e una direzione poco convincente

Con Aida volge al termine la stagione operistica del Teatro Pavarotti, e tra i palchi ci si aspetta molto da un allestimento a cura del Teatro Regio di Parma. Lo spettacolo ha inizio. L’orchestra imbraccia gli strumenti sotto la guida severa del maestro Antonino Fogliani, si alza il sipario, c’è dell’oro, ma è quasi tutto di un turchese appena illuminato

AVATAR? - Geroglifici ovunque. D’altronde Aida è pur sempre ambientata nell’Egitto dei faraoni, quindi la regia di Joseph Franconi Lee (ereditata da un’idea di Alberto Fassini) concede il via libera a pose plastiche, ombre cupe, copricapo sfavillanti, lustrini e trucco pesante. Anche i volti dei protagonisti (perlomeno di quelli egiziani) sono dipinti di turchese, e sbucano spesso, tra i costumi di scena, lunghissime trecce scure. Per un attimo (non troppo breve) sembra di essere sul set di quel famoso lungometraggio per il cinema di James Cameron. Nessuno però indossa occhialini 3D, siamo a teatro, ed è bene ascoltare gli artisti. In apertura la scena è tutta per Radamès (interpretato dal tenore Hector Sandoval), che apre con “Se quel guerrier io fossi!” e con la celeberrima romanza “Celeste Aida”: dovrebbe rivelarsi sin da ora la doppia indole del personaggio, il guerriero e l’innamorato, ma in realtà il tenore rimarrà con l’espressione corrucciata fino alla fine dello spettacolo, rivelando troppo poco di quel romanticismo che il ruolo imporrebbe. Peraltro penalizzato anche dal punto di vista canoro perché dotato di una vocalità meno robusta rispetto agli altri cantanti presenti sulla scena, al punto che la sua voce si perde nei duetti o, ancor peggio, nelle arie corale.

PERFORMANCE - Ad ogni modo lo spettacolo prosegue, dando spazio alla bellissima Susanna Branchini (soprano, nel ruolo della principessa etiope Aida), una voce calda e potente (non perfetta, ma con ottimi margini di maturazione e miglioramento) con una buona presenza scenica, coadiuvata dall’invidiabile fisique du role. Equilibrati, ma senza troppo pathos i duetti della Branchini con la sua rivale in amore Amneris, interpretata da una rigida ma efficace Mariana Pentcheva, più coinvolgente nel registro grave che in quello più acuto, dove la voce si fa leggermente più stridula e meno direzionata. La miglior prova della serata è indubbiamente quella di Alberto Gazale, nel ruolo di Amonasro, re d’Etiopia e padre di Aida, eccellente nel dimostrare come debba essere un baritono verdiano: chiaro, imponente e incisivo, sarà il destinatario della maggior parte degli applausi. Da copione, invece, il re d’Egitto (Carlo Malinverno) e il capo dei sacerdoti Ramfis (Giovanni Battista Parodi).Buona la prova del coro del Teatro Regio di Parma, molto meno piacevole l’impressione lasciata dai danzatori nelle coreografie di Marta Ferri.

REAZIONE - Nel complesso, uno spettacolo abbastanza riuscito che però non ha entusiasmato il pubblico del Pavarotti. Probabilmente a causa della poca magia del finale, che dovrebbe essere intimo e struggente (ricordiamo che Aida e Radamès si ritrovano ad essere sepolti vivi), probabilmente per la direzione ambigua di Antonino Fogliani, che si è dimostrato più sicuro nei passaggi puramente orchestrali che nella ricerca di quei pianissimi e quelle atmosfere raccolte che la partitura verdiana impone. Per chi si fosse perso la prima, si ricorda che lo spettacolo andrà in replica con il medesimo cast venerdì 30 marzo e domenica 1 aprile.

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