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Anche a Modena impazzano i Poke, le bowls trend di cui forse non conosci la verità

Approdati in Italia per la prima volta a Milano nel 2017, i ristoranti che vendono il tradizionale piatto hawaiiano si sono rapidamente diffusi a macchia d'olio in tutta la penisola. Ma siamo sicuri di conoscerne le origini?

Anche Modena, città ricca di una forte e tradizionale identità culinaria, è stata raggiunta dalla cosiddetta “pokemania” cedendo al fascino instagrammabile, alla versatilità e al basso importo calorico degli ingredienti del noto piatto di tendenza.

Stiamo parlando del Poke, un piatto originario delle isole Hawaii (ma del quale in seguito vedremo sostanziali differenze e storpiature) sbarcato per la prima volta in Italia a Milano nel 2017 e prontamente diffuso a macchia d’olio in tutta la penisola. Il Poke si presenta in un recipiente rotondo, la bowl, e trova i suoi punti di forza nel super bilanciato grado nutrizionale, dalla ricchezza e dalla vastità di ingredienti che il cliente stesso sceglie secondo personali gusti da un’apposita lista ben fornita.

Le componenti basiche del noto piatto di tendenza sono principalmente 4: la base, generalmente di riso bianco o quinoa, meno comune d’insalata; la proteina, immancabile, solitamente nella forma di pesce crudo tagliato a tocchetti quale salmone, tonno o polpo, tofu nella variente vegana o addirittura carne bianca come pollo. Si procede poi con la marinatura\condimento: olio d’oliva, salsa di soya, salsa yogurt, wasabi mayo e altre varietà di salse ed, infine, il topping, l’apporto più nutriente e colorato per il quale il cliente, bava alla bocca, si trasforma in un cane d’esperimento di Pavlov. Dalla verdura, edamame, cipolla, cavolo rosso, pomodorini, germogli di soia, barbabietola e carote, alla frutta, avocado e mango, dai formaggi, feta, alle alghe, alghe nori, da frutta secca e granella, mandorle, noci e pistacchi, ai semi di zucca e di sesamo.

Insomma, le modalità di composizione del Poke sono tantissime e rispondono a qualsiasi esigenza di sapori, intolleranze e diete. Grazie a tale versatilità il tipico piatto hawaiiano, dagli anni '70 a questa parte, continua a diffondersi rapidamente in tutto il mondo. Spesso però, una diffusione capillare di tali proporzioni comporta determinati rischi: conseguenza insita di tale processo è la tendenza di modificare, adattare a nuovi contesti o addirittura stravolgere l’originalità dei sapori o dei caratteri di un piatto. Il Poke, purtroppo, ne è esempio lampante.

L’originale Poke delle isole Hawaii

The Food of paradise. Exploring Hawaii culinary heritage” scritto dalla storica della gastronomia Rachel Laudan fornisce una precisa chiave di lettura su storia ed origini del Poke, includendone una definizione. Esso consta di pezzi di pesce crudo delle dimensioni del dito di una mano - principalmente piccoli pesci di fiume o della barriera corallina - conditi con sale hawaiiano, alga marina tritata e polpa di noci Kukui, una sorta di versione casareccia del più elegante sashimi. Il Poke - secondo Rachel Laudan - è una creazione locale che si soleva servire come antipasto o come portata principale, nata negli anni ‘70 dall’incontro di più etnie, in particolare da quella giapponese presente sulle isole Hawaii.

Nel tempo la tipologia di pesce dei “sapori hawaiiani” fu sostituita da qualità d’oceano predilette dai “sapori giapponesi” come ad esempio il tonno pinna gialla, tagliate a tocchetti o preparate appiattendole con le mani mentre la stagionatura con sale hawaiiano, alga marina e noci Kukui fu accorpata a nuovi ingredienti quali salsa di soia, cipolla verde, olio di sesamo e peperoncino.Una sintesi sì nuova, ma frutto di un incontro interculturale all’interno di un medesimo paese, una sintesi che tuttavia non corrisponde alle bowls di riso, proteine e toppings che nell’odierno mondo consumista vengono spacciate per Poke.

La questione linguistica

In hawaiiano il termine Poke significa “tagliato a pezzi” o “piccolo pezzo” e ha una determinata pronuncia simile all’inglese “poh key”. Niente accento finale sulla “e” quindi, un brutto erroraccio che la maggiorparte delle pokerie presenti in Italia insiste nel divulgare. Una storpiatura insensata, ancor più grave se attribuita ad un piatto tradizionale: un po’ come se in tutto il mondo, improvvisamente, si iniziasse a chiedere al cameriere di un ristorante qualsiasi in Cambogia o a San Francisco un bel piatto di tortellinì”.

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