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"Un'assistenza famigliare pubblica, accessibile, giusta", il progetto Cgil per l'assistenza agli anziani

“Per un’assistenza famigliare pubblica, accessibile, giusta” è il progetto che la Cgil avanza al Comune di Modena e a tutti i comuni della provincia per fronteggiare il crescente bisogno di assistenza e cura della popolazione anziana

“Per un’assistenza famigliare pubblica, accessibile, giusta” è il progetto che la Cgil avanza al Comune di Modena e a tutti i comuni della provincia per fronteggiare il crescente bisogno di assistenza e cura della popolazione anziana. Un progetto che vede il pubblico giocare un ruolo chiave nella gestione e coordinamento di tutti gli attori in gioco, assistenti domiciliari (le cosiddette badanti) e famiglie, strutture pubbliche e private, formazione di badanti e caregiver, emersione del lavoro illegale.

VIDEO | "Un’assistenza famigliare accessibile e giusta", le proposte della Cgil

La Cgil prende atto che la società modenese, in linea con il Paese, è di fronte ad un progressivo invecchiamento della popolazione e all’aumento che ne consegue della necessità di sostegno e assistenza sia per gli anziani che per i lavoratori impegnati nel settore delle cure.

Il contesto

Al 1° gennaio 2021, la popolazione residente nella provincia di Modena ammonta a 706.468 abitanti. Se osserviamo le dinamiche demografiche degli ultimi vent’anni, registriamo come la popolazione compresa tra 65-74 anni sia aumentata del 17,0% e quella superiore a 75 anni abbia visto un incremento pari addirittura al 35%. In termini assoluti, stiamo parlando sul territorio provinciale di 163.320 persone con un’età pari o superiore ai 65 anni.

Se si osserva invece il peso percentuale di queste fasce d’età, vediamo come al 1° gennaio 2021 nella provincia di Modena i residenti di almeno 75 anni costituiscano l’11,8% del totale, valore inferiore di circa un punto percentuale rispetto a quello emiliano-romagnolo (12,7%).

Secondo l’osservatorio sui lavori domestici dell’Inps in provincia di Modena si contano 13.425 lavoratori domestici nel 2020. Tra questi, 12.075 sono donne mentre ammontano a 10.800 le persone di nazionalità non italiana. Anche i dati relativi alle retribuzioni e all’orario medio settimanale rappresentano in maniera molto evidente la complessità e la deregolamentazione di questo mercato del lavoro, dove la retribuzione (dichiarata) può oscillare tra cifre inferiori a 1.000 euro fino a 13.000 ed oltre. Così come l’orario medio settimanale, che si distribuisce in maniera abbastanza omogenea su quasi tutte le classi orarie (da 4 a 60 ore), con un picco in corrispondenza della classe oraria 50-59 ore medie settimanali, in cui si  collocano 3.725 lavoratori.

In Italia, però, i servizi di assistenza agli anziani non-autosufficienti gestiti da servizi pubblici, o da questi esternalizzati, sono marginali rispetto all’effettivo fabbisogno della popolazione geriatrica ad alto rischio di non autosufficienza (o già disabile). La committenza pubblica in Italia pianifica ed orienta una parte residuale del welfare “reale”, lasciando le famiglie sole nel loro bisogno di assistenza e di cura (pubblica e privata, legale e illegale) in particolare per i non autosufficienti a domicilio. Le criticità del sistema attuale, nell’offerta di assistenza nei diversi enti locali in provincia di Modena, si possono individuare in una forte frammentazione istituzionale e in una governance limitata da parte del pubblico, nello scarso riconoscimento del lavoro di cura e delle condizioni di fragilità delle donne (soprattutto straniere) che fanno assistenza.

La proposta

Di fronte a uno scenario di questa natura la CGIL propone di spingere sempre più verso la costruzione di un nuovo welfare pubblico. In tema di assistenza famigliare vorrebbe dire, quindi, sviluppare nei vari territori un incrocio di bisogni e cura dell’assistenza famigliare a piena e totale gestione pubblica, per organizzare una risposta organica, giusta, di qualità e accessibile al bisogno delle famiglie nel reperire personale per l’assistenza ai propri cari non autosufficienti in varia misura a cui deve corrispondere una risposta con strumenti leggeri, flessibili e personalizzati che privilegiano la soluzione domiciliare con gradi crescenti di protezione.

Centrale secondo la Cgil deve quindi essere il ruolo dei servizi sociali e dell’assistenza sociale, punto nevralgico di questo nuovo modello che vede in capo al pubblico la valutazione del bisogno della famiglia, la composizione e la gestione di una lista distrettuale di assistenti famigliari qualificati, accreditati e formati, la costruzione di un progetto individualizzato attraverso la definizione dell’incontro tra bisogni e cura, il tutoraggio e il sostegno alle famiglie nel percorso di regolarizzazione, avvalendosi in questo della consulenza e del supporto di società di servizi convenzionate, di assoluta affidabilità e regolarità e gestite attraverso specifici albi.

In particolare sono necessarie forme di monitoraggio e supporto del lavoro del caregiver professionale tramite l’assistente sociale e un assistente domiciliare (OSS) opportunamente formato e la realizzazione di ulteriori momenti formativi per l’approfondimento e/o l’aggiornamento di coloro che sono già inseriti nell’albo distrettuale dei caregiver con percorsi di attestazione e certificazione delle competenze maturate sia in aula che sul campo.

Per facilitare ed estendere l’accessibilità al servizio si propone di costruire un modello che preveda la possibilità di un sostegno anche economico da parte degli Enti Locali, con caratteristiche progressive, legato all’intensità e alla durata delle prestazioni di cura individuate nel momento della presa in carico.

Questo supporto di carattere economico può prevedere un contributo volto a rendere possibile il sostegno alle famiglie, da parte delle società di servizi convenzionate, nella gestione degli adempimenti amministrativi necessari per il percorso di regolarizzazione dell’assistente familiare (attivazione del contratto, elaborazione della busta paga, sostegno legale, chiusura del contratto).

Tutto quanto proposto deve essere subordinato e condizionato all’obbligo categorico di  applicazione del CCNL nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, in tutte le loro parti. In aggiunta a questo, condizione deve essere la previsione di momenti formativi, informativi e di consulenza sulla normativa legata ai contratti di lavoro, sui diritti di cittadinanza, sull’accesso ai servizi pubblici.

Un progetto, dunque, che ponga al centro un nuovo rapporto tra bisogno e cura a governo e gestione pubblica, con la volontà di rappresentare un presidio di legalità sia per traslare pezzi di economia illegale verso un’economia legale e quindi dignitosa, sia per accompagnare l’emersione dal lavoro nero e la conquista di una piena e riconosciuta cittadinanza sociale per chi opera nel settore e per chi si rivolge a queste professionalità. L’attività di cura deve essere valorizzata anche in termini economici, di competenze, di professionalità e di qualità del lavoro.

Anche per i caregiver famigliari, figure che si trovano a svolgere anch’essi un ruolo informale ma determinante nell’efficacia dei percorsi di cura, questo modello dovrà inserire momenti di formazione e addestramento specifici, la possibilità di accedere a conseguimento di attestati e/o certificati dell’attività di cura svolta anche finalizzati al conseguimento della qualifica di OSS o di altre figure del repertorio regionale relativo all’area socio-sanitaria. A questo si potrà affiancare l’offerta di servizi a bassa-soglia quali gruppi di sostegno o di auto-mutuo aiuto così come per i caregiver professionali.

Indispensabile sarà la collaborazione tra i soggetti pubblici a vario titolo coinvolti nel percorso. Il dialogo, la messa a disposizione delle banche dati e il confronto costante tra Enti Locali, Centri per L’impiego, Inps, Azienda Usl di Modena, Regione Emilia-Romagna (chiamata a svolgere un ruolo anche normativo di grande rilievo), con il coinvolgimento attivo delle parti sociali e delle informazioni che sono in grado di veicolare, è elemento imprescindibile per la costruzione di un percorso condiviso, collaborativo e in grado di produrre sinergie e sperimentazioni di carattere innovativo, come la moltiplicazione dei punti di accesso al servizio sul territorio o l’integrazione tra le prestazioni già esistenti di carattere sanitario o socio-sanitario non domiciliari.

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