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Cronaca Pievepelago

Le mummie arrivano in città: storia di una comunità montana del XVI secolo

Sotto la chiesa di San Paolo a Roccapelago un 'tesoro' inaspettato: 100 cadaveri mummificati e una porzione del castello di Obizzo da Montegarullo

Le mummie scendono dall’Appennino fino a Modena, ma fortunatamente non sulle loro gambe. Dopo il fortunoso ritrovamento, durante i restauri della chiesa di San Paolo a Roccapelago, di circa 100 cadaveri inumati, mummificatisi casualmente, la Sovraintendenza ai Beni culturali presenta i preziosissimi ‘reperti’ alla città. «È un caso unico nell’Italia settentrionale perché si tratta della conservazione naturale di un’intera comunità (dovuta a particolari condizioni microclimatiche) che è stata sepolta a Roccapelago tra la seconda metà del ‘500 e il ‘700» spiega l’archeologo Donato Labate. Negli scavi sono stati rinvenuti anche i resti di due ambienti del castello medievale di Obizzo da Montegarullo, uno dei più potenti signori del Frignano, che si ribellò alla fine del XIV secolo al dominio agli Estensi.

È a partire dal 2008 che il complesso ecclesiastico è oggetto di un importante restauro architettonico, resosi necessario per consolidare le strutture murarie, il tetto e la pavimentazione interna. E proprio nell’indagine archeologica preliminare, condotta da Barbara Vernia, sotto la direzione scientifica della Sovrintendenza dell’Emilia-Romagna, le mummie hanno fatto la loro comparsa all’interno di sette tombe con sepolture multiple. «Si tratta di mummie che presentano ancora pelle, tendini e capelli, e che sono state deposte all’interno dell’ambiente in un sacco o sudario, una sull’altra, vestite con tunica e calze pesanti. Il rinvenimento è eccezionale perché non si tratta, come accaduto altrove (ad esempio a Napoli e Palermo), della mummificazione volontaria di un gruppo sociale (monaci, beati, membri di famiglie illustri), ma della conservazione di tutta la comunità, permessa da particolari condizioni climatiche» suggeriscono gli studiosi.mummia-roccapelago_1

Tutti i resti scheletrici rinvenuti nella antica cripta, per un totale di 281 individui, sono stati quindi trasportati presso il Laboratorio di Antropologia di Ravenna. Concluse le indagini, si aprono dunque straordinarie possibilità di studio per esperti e scienziati che potranno ricostruire vita, attività e cause di morte di un’intera comunità tra il XVI e XVIII secolo. «Dallo studio dei corpi si potrà capire le condizioni di vita della comunità. Si studieranno così – sostiene la Sovrintendenza – salute, alimentazione, tipo di lavoro, rapporti di parentela e caratteristiche genetiche delle mummie, ma anche gli aspetti legati alla religiosità e alla devozione». Lo scavo infatti ha restituito anche numerosi oggetti, diverse medagliette devozionali (alcuni esempi nelle foto), crocifissi, rosari e una quantità considerevole di tessuti, pizzi e cuffie che avvolgevano i defunti.

Uno dei reperti che ha destato maggior curiosità (ed emozione) è certamente una lettera ‘componenda’ ossia  una sorta di contratto con Dio (sic) che prevedeva protezione e grazia al dipartito in cambio di preghiere dei familiari. Il sensazionale ritrovamento aprirà agli studiosi anche nuovi orizzonti di ricerca legati alla storia del costume di un’intera comunità montana. Più avanti sarà quindi ipotizzabile ricostruire in laboratorio la vita della comunità appenninica modenese, e persino i volti  delle mummie recentemente disseppellite.
 

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