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Tutti i giorni accanto agli invisibili, una missione "sulla frontiera" di Modena

Un impegno costante per chi è affetto da dipendenze patologiche e vive ai margini, senza una dimora. L'attività del servizio del Ceis sulla strada, come punto di riferimento per tanti stranieri irregolari, fra crack, miseria e difficoltà ad accedere alle cure

Ogni mattina, 356 giorni l'anno, un furgone parte dalla periferia est di Modena e attraversa tutta la città per raggiungere via Razzaboni, di fronte alla sede Hera. A bordo ci sono le operatrici del servizio "Sulla frontiera" del gruppo Ceis, che si occupano di accoglienza di persone con problemi di dipendenze patologiche senza fissa dimora, che vivono ai margini della società. Tutte le mattine, quel furogne si ferma sotto il cavalcavia Cialdini e apre le porte alle persone che vivono sulla strada.

Accanto al mezzo vengono servite colazioni e pocket lunch, panini che i senzatetto potranno consumare per pranzo. Quel furgone diventa un luogo di ritrovo e di comunità: non solo pane, ma tante parole, relazioni, sorrisi e consigli. C'è chi va e chi viene, ma quel furgone è un baricentro, un punto di raccolta nel quale trascorrere un paio d'ore con volti amici, raccontare delle proprie situazioni, confrontarsi e cercare - dal lato delle operatrici - di guidare gli ospiti verso il miglior percorso di cura possibile, in strettissima sinergia con il Sert, il servizio Dipendenze patologiche dell'Asul che per altro staziona ad alcune centinaia di metri con il proprio camper.

Due ore dopo, quel furgone riparte.  A bordo non solo più le operatrici, ma anche un piccolo gruppo di senzatetto, diretti verso il centro diurno della "Frontiera". Uno stabile nelle campagne modenesi, attrezzato per l'accoglienza degli ospiti. La possibilità di fare una doccia, di lavare i vestiti, di poter depositare i propri pochi beni in un armadietto e godersi qualche ora di relax. Di lì a poco, infatti, sempre quel furgone ripartirà per via Razzaboni, per riaccompagnare i senzatetto sulla strada.

Tossicodipendenza in strada, un mondo che cambia

L'attività del servizio "Sulla Frontiera", nella forma sopra descritta, è partita nel 2020, proprio nei primi giorni del lockdown. Il diurno era attivo dal 2014 a Cognento, ma la pandemia ha cambiato radicalmente le necessità e le operatrici si sono trovate "on the road" per poter raggiungere direttamente gli ospiti. Il loro prezioso contributo, in convenzione con l'Ausl, ha oggi  l'obiettivo di raggiungere quei potenziali pazienti che sfuggono ai contatti tradizionali del servizio sanitario.

Gli ultimi anni hanno rappresentato un cambio di paradigma per le operatrici: dagli ospiti in prevalenza italiani del diurno, ad un'utenza quasi esclusivamente straniera sulla strada, in particolare irregolari. "L'utenza è molto cambiata, aprendo in prima battuta un problema linguistico non da poco. Difficile comunicare, in alcuni casi si è costretti a farlo solo con il linguaggio non verbale - spiega la  Dr. ssa Nives Catellani, coordinatrice del servizio - Abbiamo a che fare con popolazione più disperata. Molti sono senza permesso di soggiorno, senza documenti. Dei disperati. Non si può fare niente e questo li rende arrabbiati e frustrati. C'è chi chiederebbe aiuti, ma a parte un ricovero ospedaliero non si può fare altro".

Un'operatrice racconta: "Con il covid c'è stata un'esplosione delle persone che si presentavano al furgone, fino a 60 al giorno. Rimanevamo in strada tantissime ore, fino a 7. Poi il flusso si è ridotto". Oggi sono circa una ventina gli stranieri che afferiscono al furgone, con un ricambio costante. C'è chi vive proprio sotto il cavalcavia Cialdini o nella zona della stazione ferroviaria, ma arrivano in via Razzaboni anche i senzatetto che baitualmente stazionano in zona Cittadella, al Parco XXII Aprile, all'RNord e perfino al Parco Ferrari.

L'utenza è rappresentata quasi esclusivamente da persone adulte. I giovani arrivano raramente in via Razzaboni, qualcuno magari in uscita da qualche progetto di accoglienza o dai Cas, dopo che le richieste di protezione internazionale sono state respinte lasciando questi ragazzi in stato di clandestinità. E' capitato, ma sono casi più unici che rari, anche qualche 18enne in uscita dalla rete dell'accoglienza per Minori stranieri non accompagnati, che sappiamo rappresentare un nervo scoperto del sistema di gestione delle migrazioni.

Il monopolio del crack e l'assenza di cure

Oggi è cambiato anche lo scenario legato alle dipendenze. Se il problema dell'alcol persiste, il nuovo nemico sul fronte delle droghe è il crack. Un "ritorno in grande stile" per la sostanza derivata dalla cocaina, che viene assunta dopo essere stata riscaldata e fumata con pipette. "Proprio con il periodo della pandemia abbiamo vissuto un cambio radicale, di crack prima ne vedevamo poco. Oggi chi usa sostanza iniettiva è ormai una minoranza".

"C'è chi ha compromissioni sanitarie gravi e non si cura - prosegue la psicoterapeuta Nives Catellani - mentre altri diventano aggressivi e violenti nel momento in cui consumano troppo crack. Rispetto al passato, dove l'interazione era più semplice, le persone che incontriamo oggi fanno più fatica ad accedere al Sert. Non si presentano nememno agli appuntamenti per essere accompagnati. Molti fanno fatica a percepire il servizio come un aiuto, perchè le loro richieste sarebbero ben altre. Non ne comprendono il senso".

Vivere sulla strada comporta rischi non da sottovalutare, specialmente quando si ha a che fare con tossicodipendenti, ma le operatrici vantano grande esperienza e competenze specifiche. "Tra noi e gli ospiti c'è un buon rapporto, mentre con gli operatori del Sert è più difficile - spiegano - In passato c'erano pochissimi episodi di aggressività e sempre sulle cose, non verso gli operatori. Ultimamente il tasso di aggressività è incrementato, ma aggressioni fisiche vere e proprie non ce ne sono mai state".

Come detto, il fatto di trovarsi di fronte a persone irregolari sul territorio nazionale è un impedimento enorme. Non si può, infatti, attivare un percorso di cura al Sert per persone che soggiornano clandestinamente nel nostro Paese. Un ostacolo materiale che "lega le mani" agli operatori, limitando l'incisività del servizio, nato a questo scopo.

Il futuro "sulla frontiera"

Per il servizio del Ceis di Modena si tratta di un periodo di transizione. "Da un giorno all'altro siamo passati dalla gestione di un centro diurno alla strada. E' stato un salto importante e molto formativo, che ci ha permesso di incontrare realtà prima sconosciute". Nives Catellani riflette poi sul futuro: "Ci sono tanti percorsi possibili. Abbiamo chiesto un  incontro istituzionale con il Sert proprio per valutare l'evoluzione del servizio".

Una strada potrebbe essere quella di un aumento dei presidi territoriali. "A noi afferisce solo una zona, mentre dovremmo valutare altre zone. Ad esempio quella della Stazione Piccola. Stiamo valutando anche se individuare un luogo in centro liberamente accessibile, in cui gli ospiti possano recarsi in modo autonomo. Ci sono tanti progetti, ma devono essere realizzabili e sostenibili".

Anche perchè le attività quotidiane, svolte complessivamente da 5 operatori a turno, assorbono molte energie. "Crescere sulla strada forma, anche per lavorare un domani in altre strutture - riflette la coordinatrice - La strada ti fa vedere un mondo che altrimenti viene percepito come più artefatto. Ti aiuta a comprendere ciò che è reale ciò che è fittizio. Il che per noi è fondamentale".

Nel quotidiano come nel futuro, tuttavia, "Sulla Frontiera" non farà mancare il proprio impegno: "Queste persone, che sono visibili solo sulla cronaca, in realtà sono "gli invisibili". Quelli che non hanno identià, che non appartengono a niente chiosa Nives Catellani - Credo che con noi acquisiscono un'identità. Questo li rende visibili. Sentono che siamo lì per loro, che facciamo cose insieme a loro. Chi di loro riesce a cogliere questo aspetto si ferma e diventa un habitué. Gli facciamo fare una doccia, lavare i vestiti, diamo loro anche solo un armadietto con un'etichetta. Diamo loro visibilità e questo è importantissimo: è lo stimolo che ci fa andare avanti".

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